CONTEMPORANEA09

Improvisation Technologies by William Forsythe

ph Still from Improvisation Technologies by William Forsythe

11 > 20 dicembre 2009 Caosmos Gallery

INFO
Caosmos Gallery
via Giuseppe Bonito 16
80129 Napoli
Tel: +39 339 7777242
caosmos.it


CONTEMPORANEA09

:: rassegna conversazioni e incontri di avvicinamento alla performance contemporanea ::

a cura di Gabriella Riccio
maggio – giugno 2009 ogni martedì dalle 19.00 alle 20.30

contemporanea09
è un progetto Caosmos
in collaborazione con Il Coreografo Elettronico e  ZERO81
con il sostegno della Regione Campania – Settore Spettacolo

contemporanea09
:: conversazioni e incontri di avvicinamento alla performance contemporanea ::
:: una rassegna di video concepita come laboratorio teorico / pratico ::
:: ogni video sarà accompagnato da una conferenza/seminario intesa come introduzione al linguaggio della performance, della nuova danza e della coreografa d’autore ::
:: un’ azione di promozione della contemporaneità e di formazione del pubblico a nuovi linguaggi volta a presentare in 6 incontri gli autori,  le strutture, le compagnie, gli spettacoli, le tecniche di alcune delle realtà più rappresentative del panorma attuale ::

sei appuntamenti per incontrare e conoscere i nuovi linguaggi della performance e della coreografia d’autore :: gli incontri si rivolgono a tutti, al più ampio ed eterogeneo pubblico interessato ad approfondire la conoscenza del panorama della performance
presso caosmos  ingresso limitato ai soci

Gabriella Riccio: “C’è una vera esigenza di comprendere i riferimenti per fruire a fondo di un’opera. La performance contemporanea e la coreografia d’autore in Italia, in Europa e nel mondo ha avuto sviluppi estremamente interessanti ma spesso le compagnie e le realtà più interessanti non riescono ad arrivare in Italia e a Napoli oppure le vediamo programmate raramente e per il pubblico è necessaria una frequentazione e una consuetudine. Contemporanea è un programma di promozione della performance e della danza contemporanea e di formazione del pubblico, ed intende sviluppare la capacità di vedere e leggere la nuova performance, fare conoscere le realtà di maggiore rilievo come pure autori minori di particolare interesse. Contemporanea vuole coinvolgere attivamente il pubblico, come spesso ho cercato di fare anche attraverso i lavori che ho proposto in scena, farlo uscire dalla passività che lo vede come contenitore ricevente e dare voce al pubblico creando un’abitudine a parlare della danza, ad avere un confronto aperto e accogliente in un ambiente più raccolto come quello offerto da Caosmos Gallery dove si può avere lo spazio non solo per la visione ma anche per la conversazione. E’ un piacere aprire la rassegna presentando un autore che ho avuto modo di incontrare personalmente nel 2000 collaborando con il Romaeuropa Festival prestigiosa istituzione di rilievo internazionale e una delle realtà di maggiore rilievo per la performance contemporanea in Italia.”


/// PROGRAMMA   vedi sotto per gli approfondimenti

VSPRS SHOW AND TELL – martedì 5 maggio 2009 ore 19.00 – 20.30

Il coreografo Alain Platel |La compagnia Les Ballets C. de la B. 
Lingua Francese con sottotitoli in Inglese
Durata 72′


CELL   martedì 12 maggio 2009 ore 19.00 – 20.30

Il coreografo  Julyen Hamilton | La compagnia ADME
Lingua Inglese con traduzione simultanea
Durata 60′


THE COST OF LIVING – martedì 19 maggio 2009 ore 19.00 – 20.30

Il coreografo Lloyd Newson | La compagnia DV8 
Lingua Inglese
Durata 30′


IMPROVISATION TECHNOLOGIES – martedì 26 maggio 2009 ore 19.00 – 20.30

Il coreografo William Forsythe | La compagnia Frankfut Ballet
Lingua Inglese
Durata 60′


KALEIDOSCOPE martedì 9 giugno 2009 ore 19.00 – 20.30

Il coreografo Philippe Decouflé | La compagnia DCA
Lingua Francese
Durata 60′


DIDO AND AENEAS –  martedì 16 giugno 2009 ore 19.00 – 20.30

Il coreografo Sasha Waltz | La compagnia Sasha Waltz & Guests 
Lingua Tedesco
Durata 60′


/// APPROFONDIMENTI

VSPRS SHOW AND TELL 

Il coreografo Alain Platel |la compagnia Les Ballets C. de la B 
Lingua Francese con sottotitoli in Inglese
Durata 72′

Fabrizio Cassol (musica) Sophie Fiennes (regia) – vincitore della XVa edizione del festival Il Coreografo Elettronico (video courtesy of archivio napolidanza)

In VSPRS Show and Tell Sophie Fiennes, regista inglese che ha focalizzato la sua produzione sul tema performance e identità, documenta il lavoro discusso ultimo lavoro di Platel e della sua compagnia nel metter in scena VSPRS una performance che esplora la connessione tra fede e follia, muscia antica e danza contemporanea. Traendo ispirazione da documenti filmati d’epoca di carattere medico o etnografico la compagnia di Platel naviga attraverso le complicate manifestazoni fisiche della devozione ed espone l’intersezione tra sacro e profano.

Les Ballets C. de la B. (l’abbreviazione sta per Les Ballets Contemporains de la Belgique, ironico richiamo alle storiche compagnie di balletti del Novecento) è una compagnia di danza contemporanea, multicoreografica, operante in progetti a cast variabile, indissolubilmente legata al nome del suo fondatore, il coreografo, pedagogo e danzatore Alain Platel. La compagnia nasce ufficialmente nel 1984 dal gruppo di amici e artisti con cui Platel aveva cominciato a lavorare applicando sistemi pedagogici. Con lo spettacolo Emma (1984) Platel si afferma come regista, ma è con Bonjour Madame(1993) e La tristezza complice(1995) che Les Ballets C. de la B. conquista l’attenzione internazionale, diventando una delle compagnie di danza contemporanea più interessanti per la ricerca svolta nel campo del teatro-danza e per l’attenzione alle molteplici possibilità di rappresentazione sulla scena.

Il regista Alain Platel ricorda molto bene la prima volta in cui, adolescente, ascoltò il Vespro in una chiesa di Gand, durante una canicolare giornata estiva. Gli strumenti barocchi originali esprimevano una condizione di aspra dissonanza, in cui forse egli vide un legame con quella lacerazione interiore propria della musica tzigana. Qualunque cosa fosse, si trattava comunque di una delle opere più riuscite del repertorio liturgico.

Composto nel 1610, il Vespro della Beata Verginefu il biglietto da visita del compositore Claudio Monteverdi, che in quella fase della sua vita era alla ricerca di un nuovo committente e voleva dimostrare il suo eclettismo: egli non rinnegava certo l’antico, ma aspirava comunque a percorrere vie del tutto nuove. La sua musica non era solo l’espressione di una religiosità collettiva, ma dava spazio anche all’espressione individuale. L’armonia e la melodia restavano fondamentali, ma il contrappunto e la ritmica si caricavano di un’emozione intensa.

In ogni modo, non è certo un’interpretazione semplice e diretta del Vespro quella che propone Platel con vsprs. Egli opta per una via più avventurosa, ed è in questo assistito da Fabrizio Cassol, il direttore musicale del progetto. Cassol arricchisce questo progetto, che prevede l’utilizzo di diverse culture musicali, introducendo il suo trio d’improvvisazione Aka Moon (batteria, sassofono e basso), due musicisti tzigani (violino e contrabbasso), Oltremontano, un gruppo di musica barocca (due trombe barocche e due tromboni) e un soprano. Questo eterogeneo insieme si lascia così ispirare da vari temi del Vespro, alla ricerca di possibilità ancora inesplorate.

Per vsprs, Platel ha riunito dieci danzatori di grande agilità, capaci di prodezze fisiche. Essi provengono da varie parti del mondo, ma non sono certo stati selezionati per le differenze culturali di cui sono portatori: Platel, infatti, cerca piuttosto di formare un gruppo vero, una comunità. I danzatori trovano la loro ispirazione nei cortometraggi che il dottor Arthur Van Gehuchten(1861-1914) dedicò ai suoi pazienti psichiatrici. L’isteria vi raggiunge un grado parossistico sotto forma di movimenti tortuosi, apparentemente del tutto privi di senso. Questi stessi movimenti si ritrovano nei documentari che Jean Rouche girò negli anni Cinquanta in Africa sui rituali dello stato di trance.

Platel adotta un approccio totalmente diverso da quello di Monteverdi. Provenendo da spettacoli nei quali forti personalità erano lo specchio tanto vario quanto vitale dell’universo, egli sembra cercare un mondo interiore in grado di offrire la prospettiva di una più grande solidarietà, anche se solo per il tempo di una rappresentazione. Resta la domanda, tuttavia, se tutto ciò apporti una qualche forma di redenzione. Nelle sue opere precedenti, Platel ha scelto molto spesso la musica barocca, in grado di far scattare sempre una dimensione sublime. A questa dimensione egli opponeva storie d’identità e diversità del nostro mondo. Questi spettacoli mettevano spesso in scena un confronto radicale tra due mondi lontani, il cielo e l’inferno. Sembra che oggi Platel cerchi invece di stabilire un passaggio, un legame tra i due opposti.

Hildegard De Vuyst,
drammaturga di vsprs, novembre 2005


CELL 

Il coreografo  Julyen Hamilton
Lingua Inglese con traduzione simultanea
Durata 60′

Amesterdam 2005 produzione ADME DVD ©

Cell è una meditazione sulla prigionia, che sia essa imposizione o libera scelta. All’interno di un teatro il solista osservato dal pubblico si trova in una sorta di “cella”. Il performer, il pubblico, l’atto di osservare e di essere osservati. È proprio la consapevolezza di questa reciprocità che incornicia l’originale solo danzato, recitato e illuminato da Julyen Hamilton. Sin dagli anni 1970 Julyen Hamilton utilizza nelle sue performances i propri testi che hanno costituito negli ultimi dieci anni, una parte fondamentale e centrale dei suoi soli. La modalità con la quale Hamilton intreccia parole e fisicità del corpo crea un universo nel quale queste si completano e si arricchiscono a vicenda. Il testo parlato coinvolge sempre il corpo e nel suo lavoro questa relazione è continuamente messa in risalto al fine di approfondire il suo potere d’espressione. Parole originate dalle azioni del corpo e movimenti ispirati dalle parole. In Cell è evidente il suo particolare uso del fraseggio, parole e movimenti che si rimpiazzano a vicenda per produrre diversi livelli di significato, alcune volte chiari ed evidenti, altre volte assurdi. Il testo in Cell è sia un poetico monologo che un’immaginaria conversazione tra se e ipotetici altri. Il tempo e l’intensità del movimento sottolineano la forza delle parole indagandole, decostruendole rinforzandole e aumentandone l’impatto emozionale. Cell è stato rappresentato in Spagna, Olanda, Inghilterra, Francia, Belgio, Israele, Finlandia, Grecia, Russia.
Julyen Hamilton ha dedicato gli ultimi trenta anni alla creazione, alla regia e all’insegnamento. Nato in Inghilterra vive tra Amsterdam e Girona (Spagna). Formatosi nel periodo della sperimentazione londinese degli anni 1970, ha sempre creato i suoi lavori secondo un proprio radicale punto di vista.
Julyen Hamilton è divenuto nel corso degli anni uno dei principali e più innovativi performers di danza in Europa. Ha collaborato con molti gruppi creando assoli e coreografie in tutto il mondo. Divenuto esperto della composizione istantanea e dell’improvvisazione come forma di spettacolo, il suo talento si è affinato anche grazie alle ripetute collaborazioni con Pauline De Groots, Mark Tompkins, Carme Renalias, Steve Paxton, Kirstie Simson, Nancy Stark Smith e Katie Duck. Ha fondato la Julyen Hamilton Company con la quale ha sviluppato un lavoro basato sulla capacità dei danzatori ad improvvisare gli spettacoli estemporaneamente.
Dal 1980 il suo interesse per le performances di improvvisazione accompagnate da musica dal vivo ha caratterizzato il suo lavoro. Tra i compositori con i quali ha lavorato ricordiamo Barre Philips, Fred Frith, Le Quan Ninh, Alfred Spirli, Micha Mengelberg.
Tra i suoi soli più famosi citiamo 40 Monologues, che ha debuttato in Inghilterra nel 1995 ed ha poi replicato ininterrottamente negli anni successivi in Europa, e Suite.

E’ stato presentato in luoghi molto differenti, da grandi teatri all’italiana a garages underground. Parte dell’interesse di Hamilton in questo lavoro è di trasformare e coinvolgere la natora di spazi diversi per creare “celle” diverse.

Negli ultimi anni Hamilton ha creato 100 a solo presentati in tutto il mondo. Al momento si occupa di fare coreografie per danzatori, realizare videoe revistare suoni pur continuando a presentare le sue performances in a solo, in gruppo e con musicisti.

www.julyenhamilton.com


THE COST OF LIVING

Il coreografo Lloyd Newson | La compagnia DV8 
Lingua Inglese
Durata 30′

Co-produzione DV8, Théâtre de la Ville and the Festival d’Automne; Romaeuropa Festival 2003; Julidans Festival / Stadsschouwburg Amsterdam; PACT Zollverein / Choreographisches Zentrum NRW; Hebbel-Theater Berlin. Originariamente commissionato dal Sydney 2000 Olympic Arts Festival, e co-prodotto da DV8 e Royal Festival Hall, in associazione con Dance Umbrella.

The cost of living s’interroga sul “costo della vita” e sul “costo del vivere”, sugli ideali e sull’ipocrisia, sul comune senso del pregiudizio che circonda e corrode la vita personale di ogni uomo.
Il lavoro di Lloyd Newson e del DV8 Physical Theatre non critica soltanto la società, ma si propone di cambiarla, in un certo senso. In The cost of living il corpo diventa uno strumento per raccontare storie, quotidiane ma non comuni, di persone costrette ad affrontare il proprio allontanamento dal mondo: lo sguardo affonda dentro figure autentiche e fragili, scacciate ai margini per le loro differenze.
Una diversità che Newson trasmette come ricchezza, nei movimenti di performers differenti, fra loro, per età, dimensioni ed abilità fisica: ci sono due donne, alle quali viene chiesto di lasciare il Royal Ballet di Londra, una perché sta diventando troppo alta e l’altra perché ha problemi di peso; c’è un uomo di 150 chili e una settantaquattrenne che si muovono meravigliosamente; perfino un uomo che non ha più le gambe.
Come sempre nei suoi lavori, Newson lascia che emergano le verità più crudemente quotidiane, ovvero le normali e giornaliere costrizioni: ciò che siamo e quello che ci impongono di essere, pena l’esilio dal mondo. Lo spettacolo si trasforma così in un elogio dell’imperfezione, reale ed unico squarcio fra le omologazioni del mondo quotidiano, quelle che l’occhio dell’abitudine rende ormai impercettibili. C’è una verità fisica nel movimento, necessaria e provocatoria perché capace di destare, e Newson la cerca nell’umanità di chi non è più in grado di nascondere le proprie debolezze e di coloro che si ribellano al conformismo, e, come già era avvenuto in Enter Achilles, straordinario racconto sulla sessualità, non c’è posto qui per la facile comprensione o per il sentimento qualunquista.

Lloyd Newson fonda il DV8 nel 1986 a Londra, dopo aver lavorato, tra il 1981 e il 1985, con coreografi quali Karole Armitage, Michael Clark, David Gordon, Daniel Larrieu e Dan Wagoner.
Anche grazie all’esperienza di insegnante in Gran Bretagna, Australia e Sudamerica, egli è stato il primo in patria a ribattezzare il proprio lavoro “teatro fisico”. Compiendo quindi uno sforzo molto complesso sui danzatori, teso a creare una relazione indissolubile fra movimento e significato, Newson li incoraggia a ricercare modi di muoversi personali ed unici, il loro “vocabolario del movimento”. Quest’ultimo, infatti, per il coreografo, va articolato in un sistema espressivo massimamente integrato e ricco: «Cerchiamo un movimento che esprima il significato o l’idea che noi presentiamo istante per istante; se il movimento non riesce in questo compito, noi impieghiamo parole e canzoni per sostenerlo».
Newson ha abbandonato la danza tradizionale poiché la considera mancante di specificità, di problematicità e di rigore al di là della tecnica. Il suo rifiuto dell’astrazione, l’approfondimento sul significato del movimento e l’articolata adesione alle più attuali problematiche sociali hanno radicalmente rovesciato i principi estetici e formali sui quali è fondata gran parte della danza moderna attuale. Il DV8 Physical Theatre lavora quindi sul rischio, esteticamente e filosoficamente, sull’abbattimento delle barriere fra danza, teatro e individuo e, soprattutto, sulla comunicazione di idee e sentimenti in modo chiaro e senza pretese.
In ognuno dei suoi lavori, il DV8 ha coinvolto scenografi e compositori in grado di contribuire ad una complessa integrazione estetica fra corpo, architettura e musica, conferendo un impatto agli spettacoli ideati da Newson che ha suscitato adesioni e scandali fin da My sex, our dance, il primo lavoro ufficiale del DV8 Physical Theatre; con le successive produzioni Deep end (1987), eLeMeNt(h)ree sex (1987) e Dead dreams of monochrome men (del 1989, da cui il DV8 ha tratto un film), Newson ha approfondito con coerenza esemplare la sua analisi sull’uomo e sulla società.
I film del DV8, Strange Fish ed Enter Achilles, hanno vinto il Prix Italia rispettivamente nel 1994 e nel 1996. Tra le ultime produzioni del gruppo si ricordano Can we afford this /the cost of living (2000), una spietata analisi sulle ipocrisie e i pregiudizi, rielaborata per una performance al Tate Modern di Londra (2003) e Just for show (2005), sui meccanismi dello spettacolo, in un mondo in cui sembrare bravi è diventato più importante dell’esserlo.

Coreografia e regia Lloyd Newson / Scene Lloyd Newson e Liam Steel / Suono e musiche Paul Charlier / Adattamento vocale Melanie Pappenheim / Suoni Gareth Fry / Luci Jack Thompson / Costumi Katy McPhee / Performers Jose Maria Alves, Robin Dingemans, Irene Hardy, Tom Hodgson, Eddie Kay, Eric Languet, Matthew Morris, Eddie Nixon, Kareena Oates, Talia Paz, Rowan Thorpe, David Toole, Vivien Wood, Arnon Zlotnik

www.dv8.co.uk


IMPROVISATION TECHNOLOGIES 

Il coreografo William Forsythe | La compagnia Frankfut Ballet
Lingua Inglese
Durata 60′

“Improvisation Technologies” è uno strumento didattico digitale che introduce le tecniche di improvvisazione sviluppate da Forsythe nel training fondamentale. Forsythe illustra i principi chiave delle suo lavoro sull’improvvisazione in più di 100 capitoli nella forma di brevi lezioni. Le registrazioni sono state create graficamente: linee bianche animate e altri effetti delineano sequenze di movimenti e figure. In questo modo il movimento nella sua relazione con lo spazio può essere percepito in modo alquanto differente.  Performance e sequenze di prove in studio sono linkate con lezioni dimostrative che ne illustrano l’impianto teorico.

Ai tempi in cui il coreografo americano William Forsythe (New York 1949) assunse la direzione artistica del Ballett Frankfurt, nel 1984, non era molto conosciuto sulla scena internazionale della danza.

Da allora, l’ex ballerino del New Yorker Joffrey Ballet e dello Stuttgarter Ballett ha portato la sua compagnia di danza ad essere una delle più famose e innovative a livello mondiale. Forsythe è stato capace – come nessun altro coreografo in posizione altrettanto esposta – di evolvere continuamente sé stesso e sorprendere ogni volta gli spettatori con messe in scena avvincenti e un linguaggio motorio insolito.

Ascoltare il linguaggio del balletto
Fin dall’inizio, la particolarità del lavoro di William Forsythe è stata la sua comprensione del balletto come linguaggio vivo, che non può essere espresso sempre nella stessa maniera come se si trattasse di un oggetto morto. Per lui, la tradizione del balletto classico non è qualcosa che si può possedere, ma piuttosto che cambia costantemente nel suo uso vivace della tradizione e nell’interazione con questioni contemporanee.  Così, le sue prime coreografie, ancora molto influenzate dal vocabolario neoclassico, esercitarono un grandissimo fascino sul pubblico perché divertiva vedere che anche una ballerina classica poteva muovere i fianchi per conferire al movimento una dinamica molto coinvolgente. Forsythe ha ascoltato il linguaggio del balletto e scoperto così delle possibilità fino ad allora ignote, offerte dal collegamento e dallo spostamento di posizioni fino che fino ad allora sembrava non potessero essere modificate.

Il dialogo con altre forme artistiche e settori della conoscenza
Il suo interesse per il movimento e per ciò che esso provoca e può significare non si è ancora esaurito. Nel corso della sua carriera, Forsythe ha convogliato il balletto con molte altre forme artistiche e settori della conoscenza e dischiuso così nuove possibilità per consentire al corpo di muoversi. Per il suo Limbs Theorem del 1990, si è occupato dei disegni architettonici decostruttivisti di Daniel Libeskind, le cui linee e strutture spaziali sono servite come punto di partenza per le direttrici dei movimenti dei ballerini. All’inizio degli anni novanta, spettacoli come ALIE/N A(C)TION oder Eidos:Telos hanno messo in evidenza il suo interesse crescente per  la tecnologia dei computer, con l’ausilio della quale sono sorti sistemi basati su principi di casualità, che potevano essere plasmati dal vivo dai ballerini nel corso dello spettacolo stesso.

Per questo, le coreografie di Forsythe devono essere comprese come zona, all’interno della quale può verificarsi un evento. Tale zona non è occupata a priori con determinate idee, ma è aperta all’imprevedibile, a nuove ispirazioni; è uno spazio per scoprire possibilità che non sarebbero state considerate precedentemente.
In questo senso, la concezione didattica di Dance, diretta insieme ad altri coreografi, non è quella di insegnare una tecnica di danza ai giovani ballerini. Le conoscenze relative alla creazione di video o all’architettura, che – fra le altre cose – vengono loro trasmesse nel corso della formazione, servono da strumento e stimolo per la riflessione e per mettere in moto processi lavorativi creativi. Con un approccio così aperto, il balletto smette di essere un’arte della rappresentazione e la messa in scena di una storia o di un decorso motorio unico e fisso. Lo spettacolo si trasforma invece in una situazione vivace, che viene configurata attivamente dai ballerini e alla quale può partecipare anche il pubblico. Ogni essere umano si trasforma in ballerino.

La coreografia come il riflesso di spazialità sociali
In City of Abstracts i passanti in città hanno potuto osservare loro stessi e sviluppare così piccole coreografie. Nelle sue installazioni-performance come Human Writes o Heterotopia, alle quali Forsythe ha lavorato approfonditamente negli anni scorsi, la coreografia si trasforma in pratica sociale. Le installazioni di Forsythe sono una serie di esperimenti guidati, nei quali tutti i partecipanti possono percepire, insieme, il proprio corpo e i relativi movimenti. Nel momento in cui una performance come Human Writes si occupa della situazione difficile dei diritti umani, si comprende quali possano essere le potenzialità della danza e del movimento. Del resto, non sono solo le leggi astratte e comuni che garantiscono la nostra convivenza. Piuttosto, i beni comuni emergono e vengono plasmati dalle nostre pratiche corporee, dai nostri movimenti quotidiani.  Proprio in questo si può individuare il significato politico della concezione che Forsythe ha della danza. Egli dischiude degli spazi ponendo gli esseri umani in un nuovo contesto estraneo e facendoli confrontare con esso, affinché apprendano a riflettere diversamente sui propri spazi (sociali) e scoprire le proprie potenzialità d’azione.
vedi >>> the City of Abstracts

Un modello di finanziamento unico per tutta la Germania
Grazie alla fondazione della The Forsythe Company, che ha iniziato a lavorare nel 2005, William Forsythe opera indipendentemente dalle strutture delle Städtische Bühnen Frankfurt am Main, nell’ambito di un modello unico per la Germania, che si chiama “Public Private Partnership”. In questo contesto, i partner della cooperazione, le regioni Hessen e Sachsen e le città di Francoforte sul Meno e di Dresda, mettono a disposizione tre quarti del bilancio per la compagnia (3 milioni di Euro all’anno) e gli spazi per gli spettacoli: il Bockenheimer Depot e il Festspielhaus Hellerau. Il restante quarto viene coperto da sponsor privati. Da allora, Forsythe lavora a Francoforte e a Dresda. Il suo gruppo continua ad essere presentissimo in occasione dei festival internazionalli. Grazie a numerosi progetti d’installazione, Forsythe ha ampliato lo spettro delle sue attività a livello mondiale. I contratti di The Forsythe Company scadranno nell’anno 2010. Speriamo che quest’unica situazione di laboratorio di danza possa continuare ad esistere anche oltre questa data.

testo del Prof. Dr. Gerald Siegmund è studioso di teatro e danza e lavora presso l’Institut für Theaterwissenschaft dell’Università di Berna. Nel 2004 ha pubblicato il libro “William Forsythe – Denken in Bewegung” con l’editrice Henschel Verlag.Copyright: Goethe-Institut e.V. Traduzione: Isabella Colliva fonte


KALEIDOSCOPE 

Il coreografo Philippe Decouflé | La compagnia DCA
Lingua Francese
Durata 60′

Philipphe Decouflé, ha girato l’Italia e l’Europa con i suoi magistrali spettacoli,
tra i più inventivi sul piano visivo, basati sulla consueta capacità di manipolare le immagini dal vivo con proiezioni video.
KALEIDOSCOPE ripercorre 20 anni di ricerca video-coreografica con una poliedrica variegata e ricca collezione di video saggi e corti, a partire dal primissimo “La voix des legumes” del 1982 fino a Le Petit Bal e le ultime realizzazioni fino al 2004.

“Da bambino sognavo di diventare un disegnatore di fumetti. Il disegno resta il punto di partenza nel mio processo creativo. Ho un’idea, faccio uno schizzo delle immagini che mi saltano in mente. La mia cultura sono i fumetti, la commedia musicale, e la danza nelle discoteche e.. Oskar Schlemmer, coreografo del Bauhaus. La scoperta delle foto dei personaggi del suo Balletto Tragico sono stati per me una rivelazione. Da tempo avevo voglia di lavorare con delle forme geometriche semplici: un cubo, un triancolo, mi piaceva osservare come queste linee e questi volumi si comportavano tra di loro. Alvin Nikolais mi ha insegnato l’importanza della luce e dei costumi e la consapevolezza che era possibile fondere tutto. Nella danza mi ha influenzato maggiormente la tecnica di Merce Cunnngham. A New York ho seguito i laboratori sul video che lui stesso insegnava: appassionante! Li ho imparato a gestire i probemi relativi a distanza e geometria, le regole elementari dell’ottica e del movimento., qualcosa di estremo e di delirante… Cerco sempre una danza del disequilibrio, sempre al limite della caduta. Come modelli i fratelli Marx, per esempio, in particolare Groucho Marx, ho coltivato il suo gusto di prendere dei rischi maliziosi,  la ripetizione comica dell’errore…. ” P.D.

La maggior parte dei coreografi sono solo coreografi! Philippe Decouflé è ben più di questo: una  videocamera danzante, uno strumento multi-mediale e un sognatore a tutto tondo di prodotti e del tipo di cultura in cui tutto è determinato dalla ricerca. Ciò che affascina Decouflé sono le immagini, sia sul palco che in pellicola. Tra le sue molteplici realizzazioni lo spot per una macchina fotografica ha vinto il Leone d’Argento a Venezia, mentre uno dei suoi video ha vinto il premio qualità del Ministero della Cultura. Il suo laboratorio un enorme dado un tempo una centrale elettrica chiamato “La Chaufferie”.

La tua prima incursione nel video d’arte è venuta prima o dopo la tua attività di coreografo?
Tutto è iniziato contemporaneamente.  Il mio interesse per la danza era stimolato tanto dal  film quanto dalla mia stessa danza. Solo più tardi ho visto delle coreografie  Vedevo film jazz, con la danza dei fratelli Nicolas. Mi piaceva quel tipo di cose. E il genere Commedia Musicale. Ho sempre amato il rapporto tra danza e videocamera. Il mio primo video ‘La voix des légumes’ (‘La Voce delle verdure’) nei primi anni Ottanta è apparso prima della mia prima produzione coreografica. Si trattava di un piccolo duo. Successivamente sono arrivato alla conclusione che non eral’ideale in termini di tecnologia video. Volevo fare il cinema, più attraente per chi cerca immagini fantastiche e lnuove angolazioni. Da allora ho sempre cercato di filmare in pellicola adatta anche alla televisione. Anche se va detto che la tecnologia video è migliorata da allora e il video digitale consente di scattare bellissime immagini in un modo molto semplice. Le attrezzature sono sempre meno costose e più leggere.

Chi sono stati i Suoi insegnanti?
Uno dei miei primi maestri è stato Alwin Nikolais. Ho lavorato con lui in Francia e New York e ho visto i suoi film. Amavo veramente il suo approccio, il suo modo di affrontare tutto.  La sua tecnica di riprendere la danza in close-up solo su mani, gambe o ginocchia. Poi Cunningham, ho fatto un seminario con Cunningham a New York.

Qual è la differenza tra coreografia per il palco e per il video?
La differenza è notevole, ma si completano a vicenda. Il rapporto con il tempo e lo spazio è completamente diverso. Anche il modo in cui un danzatore si muove è diverso. Il cinema può essere sempre perfezionato, basta girare la scena fino a quando sei soddisfatto. Ma nel processo si perde la fragilità del ballerino in scena, la bellezza dell’effimero. Sebbene sia possibile sviluppare uno stesso tema sia per il palcoscenico che per il video, si devono adeguare le rispettive relazioni temporali e spaziali. Buona parte di ciò che può accadere sul palco non è così interessante per il video. Nel mio prossimo film voglio sviluppare idee che non sono possibili sul palco, ma che restano tipiche della fotografia.

Chi ti influenza maggiormente quando giri?
L’operatore alla camera. E’ lui che crea le immagini,  scegliendo le riprese, le inquadrature,  l’illuminazione – è colui che crea la poesia delle immagini. Ogni operatore sviluppa il proprio modo di lavorare con l’immagine e il movimento.

Come gestisci lo spazio?
Con il cinema ci sono i tagli. Lo spazio cambia con ogni scena. There’s no frontal gearing of the image to the public and the edge of the stage. Non c’è la dimensione frontale e il limite del palco.  La cinepresa può essere collocata ovunque.  Non c’è bisogno di coreografare tutte le entrate e le uscite – il ballerino può semplicemente lasciare l’inquadratura o il cameraman può inquadrare altrove.

Ti capita di utilizzare stessi materiali per entrambi i generi?
‘ Shazam! ‘  e il film saggio ‘Abracadabra’ entrambi vertono sullo stesso argomento. Il lavoro concettuale è stato sviluppato in 18 mesi. La base è un esame attento esame su pura danza, sul rapporto tra danza e immagine e tra danza e musica dal vivo.

Come si può spiegare la forte posizione della Francia nella combinazione di danza e video?
In Francia, il livello della danza in generale è più alto che nella maggior parte dei paesi. La video-danza è esistita per quindici anni. Il Centro Pompidou ha organizzato proiezioni video e così ogni anno un pubblico è cresciuto e il suo gusto si è raffinato. I coreografi hanno sviluppato un grande interesse per il genere. Io stesso sono stato co-prodotto da ARTE. Catherine Trautmann recente mi ha contattato perché vuole migliorare il profilo di danza e delle arti in generale, in TV. Al momento, la danza viene presentata in orari scomodissimi.  Un numero maggiore di  persone potrebbero entrare in contatto con la danza contemporanea se questa riuscisse a conquistare spazi migliori ma deve meritarlo.

Stai lavorando a nuovi progetti che combinano danza e le immagini in movimento?
Al momento sto lavorando ad un lungometraggio con una sorta di copione. Vedo la danza come qualcosa di fine a se stesso piuttosto che in funzione di una trama. Voglio sviluppare cose che non sarebbero possibili sul palco. Avevo programmato di sviluppare un nuovo progetto su larga scala con Jean-Paul Montanari del Montpellier Danse, ma abbiamo perso il finanziamento.  Ora porto ‘Shazam!’ e’ Triton ‘ in tour nei festival.  Vorrei integrare altre immagini in fase di lavoro o coreografare ballerini virtuali. Vedo nel mio futuro lavorativo allerini e ologrammi interagire semprepiù sul palco. Qualsiais cosa nuova mi interessa enormemente.Adoro evocare sogni e la poesia nella creatività.  Il video può essere molto efficace per questo. Perchè il pubblico non dovrebbe liberamente alternare la fruizione dell’uno e dell’altro aspetto?

Thomas Hahn Thomas Hahn
Pubblicato in Ballet International Actual Dance Magazine


DIDO AND AENEAS

La coreografa Sasha Waltz | La compagnia Sasha Waltz & Guests
Lingua Tedesco
Durata 60′

regia e coreografia SASHA WALTZ / musica di Henry Purcell / Opera in prologo e 3 atti su / testo di Nahum Tate AKADEMIE FÜR ALTE MUSIK BERLIN / direzione e ricostruzione Attilio Cremonesi

Chiude Contemporanea09 con il 6° incontro dedicato a Sasha Waltz, coreografa di punta tedesca, recentemente insignita del titolo di Chevalier del Arts et des Lettres dall’Academie de France, con l’opera coreografica DIDO & AENEAS

Un esempio di “Teatro totale” di Gabriella Gori 30/08/2006

“Omnia mutantur, nihil interit” (tutto si trasforma, nulla perisce) recitano le Metamorfosi di Ovidio e la forte pregnanza di questo celebre verso, che riecheggia il pànta rèi eracliteo, può essere presa in prestito per farne lo slogan dell’odierno “trasformismo” artistico di alcuni coreografi della scena coreutica internazionale. Da alcuni anni infatti si assiste ad un singolare fenomeno che vede i dancemakers occuparsi di allestimenti di opere liriche sia come autori delle parti coreografiche, che come registi veri e propri di queste messinscene. Una trasformazione sintomatica di un desiderio, e anche di un’esigenza, di esplorare nuovi campi e soprattutto di cimentarsi nel recupero del “teatro totale” wagneriano. Un progetto artistico in cui la danza si assume il compito di rendere visibile quello che musica, canto, parola, esprimono in nome di una teatralità olistica che ridisegna la concezione stessa dello spettacolo. Un’azione scenica ‘agglutinante’ che, superando le barriere di generi e codici espressivi differenti, fonde i diversi piani della rappresentazione e di cui non mancano esempi significativi. L’Orfeo di Monteverdi realizzato da Trisha Brown nel ’98, il Didone e Enea di Mark Morris del 1999, l’Orfeo e Euridice di Gluck coreografato da Emio Greco e Pieter C.Scholten nel 2004, Il Flauto magico di Mozart con la regia di Stephen Medcalf e le coreografie di Michael Tracy per i Pilobolus Dance Theatre nel febbraio 2006, il King Arthur su musica di Purcell con regia e coreografia di Mark Morris a giugno, il Didone e Enea del coreografo e regista Wayne McGregor a luglio alla Scala di Milano. Un novero di “coreoautori” fra cui si colloca anche Sacha Waltz, esponente dell’ultima generazione del Tanztheater. La Waltz con il suo Dido and Aeneas, andato in scena in esclusiva italiana al Teatro Comunale di Ferrara a giugno, ha affrontato per la prima volta la regia operistica e trovato una nuova fonte di ispirazione che – come lei stessa afferma – la incoraggia “a proseguire su questo cammino”. Inserito nella stagione lirica 2006 del teatro ferrarese, Dido and Aeneas è uno spettacolo che richiama in vita l’omonimo capolavoro barocco di Henry Purcell, su libretto di Nahum Tate, commissionato nel 1689 dal maestro di danza e coreografo Josias Priest, direttore del collegio femminile di Chelsea. Quell’anno le convittrici parteciparono, come cantanti e ballerine, alla mise en scène secondo l’usanza inglese di far interpretare le opere dal pubblico di dilettanti per il quale erano state scritte. La pièce di Purcell, che rappresenta una sorta di unicum nella storia del teatro musicale inglese, è una creazione ibrida che recupera la tradizione del masque elisabettiano, quella francese legata alla struttura peculiare dei ballets à entrées (balletto a quadri) e quella italiana dello stile vocale tipico del melodramma. La “coreoregista” tedesca, dopo un incontro ravvicinato con la musica classica in Impromptus su pagine di Schubert nel 2004, si è aperta a questa esperienza nel teatro lirico con la fiducia di chi individua nel “trasformismo” la strada per rinnovare il proprio iter professionale e creativo. Coadiuvata dal direttore e compositore Attilio Cremonesi, che è intervenuto sulla partitura originale, colmando lacune con l’aggiunta di musiche dello stesso Purcell nel prologo, o componendone altre per l’epilogo, l’artista ha riportato alla luce questo capolavoro ispirato al libro IV dell’Eneide di Virgilio che racconta il tragico e fatale amore tra Didone o Elissa, la regina di Cartagine, ed Enea, l’eroe troiano progenitore della gens Iulia, fondatrice dell’impero di Roma. Una storia immortale che l’eccellente Akademie fur Alte Musik di Berlino, diretta da Cremonesi, l’ottimo cast di coro, cantati e ballerini guidati dalla Waltz, hanno contribuito ancora di più a far apprezzare dal pubblico, rimasto letteralmente sbalordito dall’effetto scenico del prologo. Un’enorme vasca piena d’acqua che riempie il palcoscenico e, a sipario aperto, si mostra in tutta la sua imponenza agli spettatori che si accingono a prendere posto in sala. Una tipica “meraviglia” del teatro barocco ideata dalla stessa Waltz e da Thomas Schenk, come le scenografie dell’intero spettacolo, che richiama la maestria di Inigo Jones. L’architetto che nel Seicento contribuì allo sviluppo del masque grazie alla collaborazione con il musicista Ben Jonson e all’incontro in Italia con lo scenografo Sebastiano Serlio. Il famoso artifex di macchine teatrali in grado di costruire strabilianti trucchi scenici. Questa piscina all’inizio del Dido and Aeneas accoglie Nereidi, Tritoni, Ninfe, che al sorgere del festante Febo Apollo, tutto preso dall’arrivo di Venere e della primavera, si tuffano in una danza acquea di notevole impatto visivo e presenziano all’Amore di Didone ed Enea. Man mano che l’acqua defluisce appare Cartagine in cui Didone ed Enea vivono la loro passione immersi in un bucolico locus amoenus, circondati da un coro di pastori e pastorelle. Nel primo atto tutto avviene nella reggia dove Belinda, la confidente di Didone, che in Purcell prende il posto della virgiliana sorella Anna, esorta la regina a seguire i propri sentimenti mentre il personaggio della Seconda Donna sottolinea i rischi politici di un simile legame. L’arrivo del nobile ospite, accompagnato dal suo seguito e in tutta la sua folgorante bellezza, chiude il primo atto in un’atmosfera serena. Nel secondo la Maga svela il suo progetto di vendetta contro l’odiata Didone e s’impegna a favore del volere del fato, che ha già stabilito la partenza di Enea per le coste italiche. In un boschetto, dove si svolge una caccia, Belinda celebra il paesaggio e la stessa Diana ma la Seconda Donna richiamandosi alla tragica fine di Atteone, divorato dai suoi stessi cani, evoca un triste presagio di morte e sventura. L’arrivo di un temporale incupisce gli animi di Didone ed Enea mentre un elfo, con le sembianze del messaggero di Giove, Mercurio, ordina al principe troiano di partire. Il terzo atto vede l’euforia dei marinai, pronti a salpare, e la soddisfazione delle due Streghe e soprattutto della Maga che, novella Giunone, gioisce delle sventure dell’eroe troiano e pensa di vessarlo ancora di più con una tempesta marina. Dopo una conversazione con Belinda, nella quale Didone confessa la consapevolezza dell’inevitabile fine del rapporto, la regina ed Enea hanno un ultimo incontro in cui, a differenza di quanto accade nell’Eneide, l’eroe cerca di giustificarsi incolpando il volere divino e si dichiara pronto a disubbidire. Elissa rifiuta il velleitario gesto e lo accusa di ipocrisia e slealtà. Sarà lei a lasciarlo e, una volta congedato l’amato e salutata Belinda, si uccide. In un coro conclusivo gli Amori promettono di vegliare in eterno sull’infelice regina. La Waltz di fronte a questo dramma in musica, che infarcisce la tradizione mitologica classica di richiami al fiabesco mondo anglosassone, mette in atto suggestive soluzioni coreutico-teatrali con lo sdoppiamento dei protagonisti, un procedimento che ricorda quello di Rehinild Hoffmann nell’Idomeneo di Mozart, e un sapiente uso del coro. I cantanti nel Dido and Aeneas hanno il loro doppio in singoli danzatori che danno corpo alle passioni e alle emozioni, espresse dalla musica e dal canto, con una vigorosa orchestica di stampo contemporaneo. Addirittura la figura di Didone, incarnata dal mezzosoprano Aurore Ugolin, ha intorno non una ma due coreute, Clémentine Deluy e Michal Mualem, a sottolineare la lacerazione del suo animo, diviso tra la felicità dell’amore per Enea e la paura per l’intensità di questo legame. Una sorta di “ragione e sentimento” che sembrano riflettersi anche nella contrapposizione tra Belinda, simbolo della passione irrazionale rappresentata dal canto del soprano Deborah York e dalla danza di Sasa Queliz, e la Secondo Donna, simbolo della pacata razionalità, a sua volta resa dal soprano Céline Ricci e dalla tersicorea Maria Marta Colusi. La duplicazione si ritrova anche per Enea nel baritono Reuben Willcox e nel ballerino Virgis Puodziunas, che in alcuni momenti sono attorniati dal seguito composto dai danzatori Luc Dunberry e Manuel Alfonso Perez Torres. Del figlio di Anchise la “coreoregista” contribuisce a sottolineare, come in Purcell, il suo essere totalmente diverso dall’eroe virgiliano, il pius per eccellenza rispettoso del volere del fato e consapevole della missione provvidenziale affidatagli. Enea nella messinscena è un uomo vittima di un destino avverso e contrapposto alla regina di Cartagine, la vera eroina della pièce. La Maga, resa en travesti dal baritono Fabrice Mantegna, ha come Didone una duplicazione coreica in Juan Kruz Diaz de Garaio Esnola e Xuan Shi, per raffigurare il suo odio per Elissa ed Enea e a cui fa da contraltare la Prima Strega en travesti, interpretata dal tenore Eberhard Francesco Lorenz e dal danzatore Takako Suzuki, e la Seconda Strega, sempre en travesti, portata in scena dal tenore Michael Bennett e dal ballerino Jirì Bartovanec. D’impatto risultano le scene corali come quella della festa di corte in cui il canto, la musica, la danza, creano un’atmosfera ilare e distesa fra il pullulare di abiti variopinti ed eccentrici. Veri coup de théatre sono le apparizioni improvvise di Maga e Streghe da botole nascoste o la realizzazione del bosco con danzatori trasformati in alberi-viventi. Suggestiva in chiusura la sequenza della morte di Didone che, preda del furor amoris e avvolta dai suoi lunghi capelli, sparisce contemporaneamente all’accendersi di tante luci sul palcoscenico vuoto. Alla fine orchestra, cantanti e danzatori sono stati sommersi da lunghi e calorosi applausi del pubblico che ha riservato a Sacha Waltz, quando si è presentata in palcoscenico, un’ovazione speciale.

Sasha Waltz, nata nel 1963 a Karlsruhe, ha iniziato a ballare già all’età di cinque anni. Ha poi studiato Danza e Coreografia alla School for New Dance Development di Amsterdam e ha concluso i suoi studi con un corso di specializzazione nel 1986-87 a New York.Al suo rientro in Europa è iniziata un’intensa collaborazione con coreografi, artisti visivi e musicisti come Mark Tompkins, David Zambrano, Vorè e Tristan Honsinger. Insieme con Jochen Sandig ha fondato nel 1993 la compagnia Sasha Waltz & Guests e nel 1996 la Sophiensæle a Berlino, uno dei luoghi di produzione più importanti per il Teatro Libero e la Danza in Europa. Dal 1999 al 2004 ha curato insieme con Jens Hillje, Thomas Ostermeier e Jochen Sandig la direzione artistica della Schaubühne am Lehniner Platz, dove sono stati rappresentati tutti i pezzi della compagnia Sasha Waltz & Guests. Nel 2004 la compagnia, ora di nuovo indipendente, sotto la guida di Sasha Waltz e Jochen Sandig, si è sciolta dalla Schaubühne. Lo stesso anno Sasha Waltz ha realizzato la sua prima produzione operistica con Dido & Aeneas con la musica di Henry Purcell. Sono seguite altre opere coreografiche come Medea con partiture di Pascal Dusapin e Romeo et Juliette con la sinfonia di Hector Berlioz, rappresentata in prima assoluta all’Opéra National a Parigi. Nel 1998 in collaborazione con arte/ZDF è stato girato Allee der Kosmonauten con la regia di Sasha Waltz. Per questo debutto cinematografico ha ricevuto oltre a numerosi riconoscimenti internazionali il premio Adolf Grimme. Nella primavera del 2008 ha avuto la sua prima rappresentazione a Francoforte sul Meno il progetto Jagden und Formen grazie ad un’ulteriore collaborazione con l’Ensemble Modern. Dopo un restauro durato dieci anni del Neues Museum a Berlino Sasha Waltz ha qui messo in scena nel marzo 2009 con la sua compagnia in una formazione di 70 danzatori, il progetto Dialoge 09 – Neues Museum, prima della prevista riapertura in autunno. Nel 2008 in occasione del quindicesimo anniversario dalla fondazione della compagnia Sasha Waltz & Guests è stato pubblicato il volume fotografico Cluster (edito da Henschel Verlag).